IL TRONO DI NEBBIA

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glaucocollini
view post Posted on 31/3/2011, 22:38




Dopo un attimo di disorientamento capì dov’era: al porto.
Non se n’era mai andato, ma il tormento di quella sera l’aveva portato a pensare molto e tutto insieme, fiaccandone anche il corpo, come se avesse percorso tutta la città.
Si diresse verso la sua barca esitando proprio prima di salire sulla passerella.
L’indomani non sarebbe più stato lui il proprietario. Quella sarebbe stata l’ultima volta che sarebbe passato su quella passerella di vecchio legno scricchiolante per salire a bordo.
L’esclamazione di un sì deciso rivolto verso se stesso lo convinse a salire.
Notò che nonostante i suoi pensieri diventassero sempre più malinconici la sua barca non sembrava né più nuova né più bella. Il legno che lo circondava trasudava la fatica di una vita, quella fatica tipica di chi non solca un mare sereno o lotta tenacemente contro onde feroci per poi andare avanti, fiero dopo il loro passaggio. Era la fatica di restare sempre a galla, uno sforzo continuo durato una vita, che ogni giorno veniva segnata nel legno e nella carne.
Entrato nella cabina non si diresse verso i comandi. Prese una birra gelata dal piccolo frigorifero e la aprì per poi accendere una sigaretta.
Intanto era cessata la leggera brezza che soffiava sulla fiammella della candela che ancora non aveva acceso, quindi poté accenderla senza dubitare di averlo già fatto per la seconda volta. Per via di qualche gioco d’aria la fiammella non tremolava, si muoveva ritmicamente, quasi fosse un pendolo capovolto. Scaldava tutto l’ambiente, pur essendo così minuta.
I pensieri erano diretti a quella scelta di ritiro anticipato che gli lasciava il retrogusto amaro di qualcosa che non si era concluso come avrebbe voluto. Ma era inevitabile.
All’inizio della seconda birra sentì il bisogno di scappare in mare.
Non fu impulsivo nel farlo. Continuò a pensarci e ripensarci mentre slegava le cime che trattenevano l’imbarcazione ed aspettò così tanto prima di ritirare la passerella che lo spostamento della barca quasi la fece cadere in acqua.
La barca prese il mare da sola, come fosse quella la sua volontà. Riuscì quasi a completare la manovra in cerca della giusta direzione quando si arrestò, quasi immobile sull’acqua. Fu la volontà dell’uomo a portarla fuori dalle acque stagnanti del porto.
Il rumore del motore interrompeva quella parentesi di silenzio che,seppur necessaria,cominciava ad essere indice di un’eccessiva immobilità ed indecisione, che difficilmente poteva sopportarsi senza sentire il bisogno di sospenderla per poi rientrarvi e trovarla quasi accogliente.
Quando sentì di essere abbastanza lontano spense improvvisamente il motore, come se avesse corso con le sue gambe, per poi concludere la spinta terminando con gli ultimi passi sempre più lenti prima di arrestarsi del tutto e riprendere fiato. Spento il motore, la barca si comportò proprio in questo modo,fece molti metri prima di esaurire la spinta ed abbandonarsi alla corrente.
I pensieri riguardanti le paure sul futuro furono rimpiazzati dai ricordi: le prime notti in mare,la fatica nell’abituarsi a quella vita,il continuo voler tornare a terra ed il continuo volerne scappare subito dopo. Accesa una sigaretta,subito dopo la prima boccata sentì dei colpi sullo scafo della barca.
Dapprima non gli diede importanza,ma poi si rese conto che avevano una cadenza ben precisa.
Tre colpi, una pausa, altri tre colpi e silenzio per un po’, come per richiamare l’attenzione.
Aspettò. Li sentì di nuovo.
Guardò in acqua ma non vide nulla.
Sentì di nuovo i colpi.
Avvicinandosi al punto esatto da cui provenivano si sporse leggermente. C’era un delfino che lo fissava.
Incredulo si ritrasse leggermente, ma non troppo. Assunse solo la posizione che permetteva di guardarlo meglio sentendosi al sicuro,come se avesse paura che quella creatura potesse trascinarlo in acqua. Continuarono a fissarsi per un po’.
Poi il delfino cominciò a parlare.
Emetteva una voce gentile e vellutata che imponeva rispetto e pacatezza.
L’uomo avvertì la necessità di trattenere lo stupore, come se mostrarlo fosse offensivo nei confronti del suo interlocutore.
Quelle sue parole garbate furono d’avvertimento. C’era la seria possibilità di imbattersi nella signora del mare quella notte, colei che rivela il futuro, fa doni e illumina il cammino degli uomini meritevoli, mentre fa inghiottire dalle acque, fa perdere il senno e maledice gli immeritevoli.
Il delfino si raccomandò che nel caso l’uomo l’avesse incontrata sulla sue labbra non sarebbero mai dovute mancare parole gentili che facessero trapelare affabilità e rispetto, né risposte profondamente sincere alle domande poste.
Detto questo salutò augurando buona sorte e si immerse rapidamente.
Già, la signora del mare.
Qualcuno raccontava di averla incontrata, forse solo per rendersi meritevole agli occhi degli altri,ma tutti da bambini ne avevano sentito parlare, a volte avendone paura. Ma si sa, se ne raccontano tante ai bambini e crescendo si tende a dimenticare.
In città si raccontava di un uomo che una notte, in alto mare per lavoro, l’aveva incontrata. Quando era tornato a terra non era neanche tornato a casa. Aveva iniziato a vivere come un vagabondo. Dormiva per strada, non riconosceva i familiari, e bisognava nutrirlo a forza, altrimenti si sarebbe lasciato morire di fame. Durante una notte molto fredda morì sdraiato su una panchina.
Le donne anziane raccontavano che era successo perché aveva incontrato la signora del mare e quindi tutti i bambini dovevano essere buoni, altrimenti quella sarebbe stata la loro fine.
Quell’ incontro e quei ricordi infantili l’avevano già portato all’accensione di tre sigarette consecutive.
Prese un’altra birra e si rassicurò pensando che spaventarsi in quel momento non sarebbe servito a nulla. Forse l’avrebbe incontrata, forse no, ma non dipendeva dalla sua volontà. E poi se fosse stato inghiottito dalle acque non avrebbe avuto il rimpianto di abbandonare quella vita che spesso era insopportabile.
Forte di quest’ultima motivazione sorseggiò e fumò in abbondanza fino ad avvertire un leggero torpore.
Nel momento in cui sentì il sopraggiungere del sonno si ricordò che era pericoloso lasciarsi portare alla deriva dalla corrente e fu pronto a riprendere il controllo della navigazione per abbandonare la barca nel porto,scendere e non salirci mai più.
La manovra fu agevole e sicura. Il porto era molto piccolo e lontano,ma la direzione era giusta, la visuale ottima e il mare calmo.
Eppure un ticchettio sul vetro gli fece presagire che la sua avventura non sarebbe finita così.
Si voltò. Era un gabbiano, anch’esso parlante, e gli disse che si era mosso troppo tardi, che avrebbe incontrato la signora del mare e che chi fa questo incontro in fase di rientro ha sempre meno fortuna rispetto a chi si stacca da terra per andare in mare.
La reazione spontanea fu quella di dirigere di nuovo lo sguardo verso il porto.
Solo nebbia. Fittissima nebbia densa che quasi schiariva la notte.
La barca cominciò a cigolare come se stesse strisciando su una superficie solida.
Poi, all’improvviso, si fermò.
Lì davanti, sul suo trono di nebbia, la signora del mare.
La figura nell’insieme non procurava disagio. Il suo vestito era costituito da una rete che aderiva al corpo quel tanto che basta a lasciar intravedere le forme. La nudità del suo corpo non era propriamente visibile attraverso le maglie della rete.
Quel corpo sembrava opaco, era solo percepibile. I polsi ed il collo erano decorati con conchiglie e stelle di mare, i capelli verdi come alghe e due cavallucci marini le pendevano dai lobi. Il viso non esprimeva severità, ma il sorriso sembrava un esagerato tentativo di mascherare inquietudine, superiorità e tirannia.
Il ricordo dell’avvertimento del delfino fu immediato.
La tensione saliva e così continuò fin che la signora del mare non cominciò a porre quesiti. Nel farlo non guardava l’uomo, ma piuttosto controllava l’esattezza delle proporzioni delle sue dita, quasi ammirandole. Sempre di più emergeva dal dialogo una storia di vita priva di forza vitale quasi dalla nascita. Tanta mediocrità, l’assoluta incapacità di accettare la propria condizione e l’altrettanto assoluta incapacità di cambiarla, come per risparmiare le forze per qualcosa che non arrivava mai ma con la consapevolezza che non valeva la pena dare tutto se stesso fino in fondo. Quel che aveva dato era sempre stato ben misurato. Giusto il necessario, mai di più . Quel risparmiarsi lo aveva sempre fatto sentire uomo di valore, di un valore che non va sciupato, che non valeva la pena impiegare per nulla, come fosse già testato.
Per la prima volta egli percepì chiaramente la netta differenza tra ciò che era e ciò che credeva d’essere, una parte era vera e l’altra no.
Identificandosi in ciò che credeva d’essere non aveva veramente vissuto,era sempre restato a galla, preservandosi per qualcosa di meglio senza mai cercarlo.
Una vita sprecata nella pallida e non sospirata attesa di un evento che mai si verificò.
Sparì la nebbia.
Questo non destò alcuna sorpresa.
Si ritrovò nel porto intento a salire sulla scricchiolante passerella per l’ultima volta. L’indomani la barca non sarebbe più stata di sua proprietà.
Un attimo di smarrimento, come se non sapesse dove si trovasse.
Capì di essere nel porto. Non se n’era mai andato.
Era ancora lì, fiaccato dai pensieri anche nel fisico, come se avesse percorso tutta la città.
D’improvviso la sensazione di una superficie dura, fredda sotto la schiena, una mano che lo strattonava e una voce che ripeteva un nome a qualcuno che appartenente lui non conosceva.
Si trovò di fianco una donna in là con gli anni. Era seduta accanto a lui.
Sì, anche lui era seduto.
Di fronte, una ragazza giovane che lo guardava con un misto di pena e commozione mentre la donna al suo fianco cercava di imboccarlo a forza.
Con un boccone tra i denti, impegnato tra il masticare per non soffocare e lo sgranare gli occhi, si ritrovò alle spalle della giovane ragazza.
Muovendosi al suo fianco, notò che una lacrima ne segnava la rotondità del viso.
Rivolse lo sguardo alla donna più in là con gli anni, ancora sulla panchina.
Anche lei piangeva. Anche lei senza emettere gemiti, come una statua.
Al suo fianco un uomo, rigido e pallido, forse morto.
L’aveva già visto in giro . Si, era quel vagabondo che da qualche anno diceva di aver incontrato la signora del mare.
Si posò un gabbiano su quel corpo freddo ,lo fissò per un po’ e disse:
- Poiché sei morto non c’è più nulla che tu possa fare.

Attached Image: il trono di nebbia.jpg

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